La forza del destino di Verdi apre la stagione lirica a Lisbona
Lisbona (dal nostro corrispondente Marco M. Marsili), 11 ottobre 2019 “La forza del destino” di Giuseppe Verdi
ha aperto ieri sera la stagione lirica al Teatro Nazionale São Carlos di Lisbona. Pubblico numeroso, nonostante la canicola estiva (la temperatura esterna sfiorava i 30°), per la prima del melodramma del compositore di Busseto, su libretto di Francesco Maria Piave, tratto da Alvaro o la forza del destino del drammaturgo spagnolo Ángel de Saavedra. La forza del destino segna anche il ritorno, sul podio lusitano, del direttore d’orchestra Antonio Pirolli, dopo i successi ottenuti con le precedenti rappresentazioni del ciclo verdiano (Nabucco e Otello).
L’opera nella storia
Nella sua storia, quest’opera in quattro atti ha visto avvicendarsi sul palco i più prestigiosi cantati del Novecento: Franco Corelli, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano, Plácido Domingo, José Carreras Renata Tebaldi, Giulietta Simionato, Mirella Freni, Montserrat Caballé, Renato Bruson, Juan Pons, Ettore Bastianini, solo per citarne alcuni. La prima rappresentazione assoluta ebbe luogo al Teatro Imperiale di San Pietroburgo, il 10 novembre 1862. Il debutto italiano avvenne al Teatro Apollo di Roma il 7 febbraio 1863, con il semplice titolo Don Alvaro. La seconda versione, per la quale Verdi aggiunse la celebre sinfonia, compose un nuovo finale e operò numerose altre modifiche tra le quali la rielaborazione del libretto a cura di Antonio Ghislanzoni, debuttò con successo al Teatro alla Scala di Milano il 27 febbraio 1869. Anche il finale fu cambiato: nella seconda versione don Alvaro sopravvive alla morte di Leonora, nella prima versione l’opera terminava invece con il suicidio di Alvaro.
Tra la Spagna e l’Italia
La forza del destino non è probabilmente tra le opere più fortunate del maestro emiliano, ma mescola un interessante connubio di elementi comici e tragici (con decisa prevalenza di questi ultimi), e possiede un indubbio vigore musicale, anche se non presenta arie celebri come in Rigoletto (La donna è mobile), o nel Nabucco (Và pensiero). L’azione si svolge in Spagna e in Italia, nel Settecento. Tra il primo e il secondo atto passano circa 18 mesi. Tra il secondo e il terzo alcuni anni; e tra il terzo e il quarto oltre un lustro. La Spagna non è terra di buoni venti e matrimoni, ma sicuramente è terra di passione, tragedia e sangue. Verdi lo sapeva, e raramente la sua musica è esplosa con tale forza come in questa opera di situazioni limite.
La trama dell’opera
La forza del destino narra la storia di don Alvaro (tenore), un meticcio come Otello, e del suo amore corrisposto per donna Leonora di Vargas (soprano), figlia del marchese di Calatrava (basso). Per evitare l’opposizione al loro matrimonio del padre di lei, i due innamorati si preparano a fuggire nottetempo da Siviglia, ma i due vengono sorpresi dal marchese, che rinnega la figlia e ordina ai servi di arrestare il giovane. Questi, proclamandosi unico colpevole, si dichiara pronto a subire la punizione del marchese e getta a terra la pistola, da cui parte un colpo che uccide il vecchio. La tragedia si mette in moto: non solo il padre, ma anche Leonora e il fratello Carlo vengono uccisi, quasi causalmente, da Alvaro. ”Fatalità! Fatalità! Fatalità!”, esclama Leonora nel IV atto, quasi a richiamare la Divina Provvidenza manzoniana.
I paralleli con i Promessi Sposi sono molti:
Don Alvaro è un mix tra fra Cristoforo e l’Innominato, un violento ‘pentito’ per convenienza, più che per intervento dello Spirito Santo; Leonora, ça va sans dire, è un po’ Lucia Mondella, un po’ Suor Gertrude (il personaggio storico di Marianna de Leyva, divenuta Suor Virginia Maria, meglio nota come la Monaca di Monza); frà Melitone è un pavido religioso senza vocazione, come don Abbondio; il padre Guardiano, con la sua fede dogmatica, ricorda il cardinale Federico Borromeo tratteggiato dallo scrittore milanese; il marchese di Calatrava ricalca il ruolo di don Rodrigo nel romanzo manzoniano. Come nel capolavoro del Manzoni, per il quale Verdi scrisse nel 1874 il Requiem, la divina misericordia, la pietà cristiana, sono continuamente invocate da tutti i protagonisti, come un mantra salvifico, nonostante la catena di eventi luttuosi, che segna l’incedere dell’opera. Proprio tali eventi, in quanto fortuiti, non possono che essere attribuiti alla divina provvidenza (il destino), responsabile, quindi, delle disgrazie dei protagonisti.
La tragica fine
L’opera verdiana assume qui una forte connotazione morale intrisa dell’escatologia cristiana, dominata, dalla presenza del divino nella storia e nelle vicende umane. Il male è presente, il gioco di forze contrapposte genera effetti a volte disastrosi nella storia dei protagonisti, ma Dio non abbandona gli uomini e la fede, così come nell’opera manzoniana, permette di dare un senso ai fatti e alla storia dell’uomo, come emerge alla conclusione della vicenda: Leonora, morente per mano dell’amato, si rimette alla volontà del Signore, ‘motore’ di ogni vicenda umana e terrena – nella prima versione del finale del 1862 l’opera termina con il coro che invoca ‘pietà, misericordia, signore’.
La fede e la volontà divina
La volontà divina è l’oggetto imprecisato ed imprecisabile di una ‘fiducia indeterminata’, di una fede più istintiva che razionale, che sopravvive ai dolori e fortifica contro di essi. Dio agisce in modo misterioso e secondo schemi che non seguono i ragionamenti degli uomini, compiendo il suo scopo anche attraverso eventi dolorosi, ricollegando il tutto alla celebre espressione della provvida sventura manzoniana.
Il melodramma verdiano
– una co-produzione con il Teatro Comunale di Bonn e la Welsh National Opera, compagnia gallese di stanza a Cardiff – segna il ritorno al São Carlos del regista David Pountney, che piazza la morte in ogni quadro dell’allestimento; la personificazione della nera mietitrice, ricorda allo spettatore le nefandezze della guerra, e chiude il cerchio di pace e amore.La contemporaneità di quest’opera – un mix di ingredienti esplosivi: pace, guerra, amore e morte – viene interpretata perfettamente dalla lettura scenografica di Raimund Bauer, oltre che dai bellissimi costumi di Marie-Jeanne Lecca. Ciò che ci ha particolarmente colpiti, in questa produzione, è l’allestimento scenico che, attraverso soluzioni tridimensionali, proietta lo spettatore al centro dell’azione, abbattendo la ‘quarta parete’.
L’allestimento
L’allestimento, tracimante di omaggi e riferimenti letterari, iconografici e cinematografici, è una critica ‘senza tempo’ alla guerra, con evidenti riferimenti allo stile di Terry Gilliam. Un eclettismo figurativo, di spiccata matrice postmoderna, in cui antico e moderno, elementi di cultura ‘alta’ e avanzi pop si intrecciano senza ordine gerarchico; si mescolano art déco, estetica anni quaranta-cinquanta, luci espressionistiche, atmosfere plumbee da noir anni quaranta, e svariate citazioni cinematografiche – richiami felliniani, rimandi alle architetture di Metropolis di Fritz Lang, e, riferimenti orwelliani alle iconografie dei totalitarismi (Pink Floyd The Wall di Alan Parker e 1984 di Michael Radford).
I simboli religiosi
La croce, sempre presente sulla scena, attraverso diverse soluzioni visive, è collocata più come metafora di morte e sventura, che come simbolo salvezza e redenzione – la croce cristiana è infatti una rappresentazione stilizzata dello strumento di morte usato dai romani per l’esecuzione capitale, che, secondo i vangeli e la tradizione cristiana, servì per infliggere il supplizio a Gesù. Gli abiti talari insanguinati del coro, accostati all’onnipresente croce, e la presenza scenica della morte, sono un disconoscimento della fiaba cattolica, che incarna l’amore divino come forza positiva di ogni evento terreno, mentre la vicenda umana è in realtà scossa da dolore e sofferenza, impersonificate dalla guerra, alla quale perfino frà Melitone rende omaggio. In questa produzione de La forza del destino, tutto contraddice la morale cattolica, e ne mette a nudo incongruenze e doppiezze, come nel romanzo manzoniano.
Standing ovation per le eccellenze italiane
Alla fine, il pubblico tributa una standing ovation a tutto il cast, in particolare al soprano staunitense Julianna Di Giacomo (Leonora), e al direttore d’orchestra Antonio Pirolli, che forma, insieme al direttore del coro del São Carlos, Giovanni Andreoli, e al baritono Damiano Salerno (Don Carlo Di Vargas), il ‘tridente’ tricolore che ha contribuito al successo di questa rappresentazione.
La forza del destino di Giuseppe Verdi [1813–1901], libretto di Francesco Maria Piave, tratto da Don Álvaro o la Fuerza del sino di Ángel de Saavedra: 10, 14, 16 e 18 ottobre 2019, h. 20; 12 ottobre h. 16, Teatro Nacional São Carlos, Lisbona; 26 ottobre, h. 20, Colosseo di Porto AGEAS.
Direzione musicale di Antonio Pirolli, Messa in scena di David Pountney, Scenografia di Raimund Bauer, Costumi di Marie-Jeanne Lecca, Coreografie di Michael Spenceley, Luci di Fabrice Kebour, Coro del Teatro Nazionale di São Carlos condotto da Giovanni Andreoli, Orchestra Sinfonica Portoghese diretta da Joana Carneiro, Marchese di Calatrava/Padre Guardiano (basso): Miklós Sebestyén, Donna Leonora (soprano): Julianna Di Giacomo (Cristiana Oliveira nella recita del 12 ottobre), Don Carlo Di Vargas (baritono): Damiano Salerno, Don Alvaro (tenore): Rafael Alvarez (10 e 14 ottobre); Kristian Benedikt (12 e 16 ottobre); Paulo Ferreira (recita del 18 ottobre)Preziosilla/Curra (mezzosoprano): Cátia Moreso, Melitone (barítono buffo): Luís Rodrigues, Sindaco/Chirurgo (basso): João Merino, Trabuco (tenore brillante): Carlos Guilherme
Per informazioni: saocarlos.info@saocarlos.pt. Biglietteria: reserva.bilhetes@saocarlos.pt; ajuda@bol.pt; bilheteiraccb@ccb.pt.

Teatro Nazionale São Carlos di Lisbona FORZA DEL DESTINO